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Torneremo ancora, l'ultimo inedito di Franco Battiato, a primo ascolto appare come un vero e proprio saluto di congedo del Maestro.
Molto profonde le parole che qui descrivono alcune strofe del brano. Ho trovato interessante la spiegazione che porta in primo piano il tema della fine dell'esistenza, come motivo chiave di questo pezzo e che lo pone in relazione le attuali condizioni di Battiato, peraltro coperte dal riserbo della famiglia, con il motivo ispiratore di Torneremo ancora.
Ecco che, come riportato: "Occorre maneggiare teorie di fisica quantistica per comprendere il reale significato del brano inedito, scomodando persino Lavosier. Quel "Nulla si crea [...nulla si distrugge (omesso dal testo)...] tutto si trasforma" è un chiaro riferimento al postulato del chimico e biologo francese" (fonte)
Tuttavia, come sottolinea anche Camisasca con cui Battiato ha collaborato nella creazione di questo brano, non si tratta di questo. Camisasca ha infatti dichiarato: "credo sia semplicemente una canzone che testimonia la sincerità della propria ricerca interiore» (fonte).
In effetti i temi che affiorano sono proprio alcuni degli assi portanti della meditazione di Battiato, temi che sono presenti in molti suoi altri brani e che però ora acquisiscono un sapore lievemente diverso, forse perché più immediatamente intessuti all'elemento autobiografico.
La condizione di salute del Cantautore non può essere dunque l'unica ragione alla base della scrittura di questo brano, questo mi sembra naturale, tuttavia trovo altrettanto naturale che l'anzianità porti a un'urgenza di riflessione più intensa sul senso dell'esistenza, proprio a ragione della costante presenza nella produzione artistica di Battiato di questo argomento.
Come egli stesso ha dichiarato:
Da anni ho lavorato sulla conoscenza del mistero insondabile del passaggio. Da “La porta dello spavento supremo” a “Le nostre anime” sino al documentario “Attraversando il bardo”. “Torneremo ancora” ne è una ulteriore testimonianza.
(fonte)
Non è dunque un motivo nuovo.
Però, rispetto a un brano come La porta dello spavento supremo, mi sembra che la prospettiva da cui si osserva la fine dell'esistenza sia differente.
Mentre in La porta dello spavento supremo la chiave di lettura è il dissolvimento, l'inconsistenza dell'esistenza, come se il punto di vista fosse più astratto, qui a mio parere l'occhio che guarda è quello dell'umano (la luce sta nell’essere luminoso
Quella che è la ruota designante il ciclo delle rinascite (il saṃsāra) suona qui quasi come una fedele promessa che non finisce tutto qui e così. Ma il ritornare ancora e ancora non è ragione di sicurezza, fa piuttosto parte di quel legaccio che ci tiene incatenati alla realtà, attaccati a questa manifestazione come se avesse in sé una qualche verità. Siamo ancora dormienti (il riferimento al sonno).
La libertà è allora non la morte in sé, come divincolamento dalla vita intesa come condanna, quanto la capacità di emancipazione ultima da ogni nostra rappresentazione.
Il testo rivela a mio giudizio con estrema e lucida serenità la visione che Battiato ha della vita e della morte, come parti di un'unica esperienza che ci connette all'universo, alla materia (la fisica) come allo spirito.
C'è un ultimo punto sul quale vorrei porre l'attenzione e riguarda precisamente la strofa:
Ho pensato potesse trattarsi di un velato richiamo ai fatti di attualità. Una sorta di aggancio a Povera patria, altro capolavoro di Battiato. Eppure, mossa dalla curiosità ho fatto una ricerca sul web e pare che non ci sia alcun accenno alla storia presente, a giustificare questa immagine.
Ne è però emerso che il primo titolo scelto per questo brano fu I migrandi di Ganden, (su Ganden). Essi "rappresentano il percorso delle anime al termine della vita terrena e le vicissitudini che questa nostra esistenza comporta".
Ciò risuonante nella copertina dell'album, che "è una fotografia scattata a Grado (Gorizia), nell'alto Adriatico con la marea bassissima e tantissime persone a camminare in due centimetri d'acqua con una luce arancio che da terra raggiunge il cielo", (fonte).
Pare perciò che non si tratti di un riferimento velato all'attualità ma "alla fuga dei monaci tibetani alle persecuzioni politiche" tuttavia "il titolo avrebbe tratto in inganno".
Sembra dunque che "Il testo di Battiato non parla di popoli in fuga e di una tragedia umanitaria, la sua è una riflessione spirituale su una ricerca di una «terra senza confini», fonte.