Richiesto da Califfo96
Pubblicato 25 giugno 2017
Ultima interpretazione 04 marzo 2022
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“Le storie di ieri” è un brano del 1974 scritto da Francesco De Gregori quando collaborava con Fabrizio De André. Da quel sodalizio scaturirono altre canzoni, poi interpretate da entrambi i cantautori.
In questo caso fu De André il primo a pubblicare la canzone, nel 1975, in “Volume VIII”, perché la casa discografica di De Gregori decise di escluderla, nonostante fosse già stata incisa. De Gregori la inserirà poi nell'album “Rimmel”, modificandone alcuni passaggi, sia pure non significativi, rispetto alla versione di “Volume VIII”.
Il tema è socio-politico e riguarda la persistenza, più o meno sotterranea, di quelle “storie di ieri” che, nonostante si credano definitivamente condannate, si ripropongono e ritornano, o possono ritornare, magari sotto diverse mentite spoglie.
Il testo si compone di cinque cinquine ed una sestina (la quinta strofa), nella quale gli ultimi tre versi sono identici. Lo stesso accade nella quarta cinquina, i cui ultimi due versi sono ripetitivi.
Nelle strofe si alternano due figure, un padre e suo figlio, a simboleggiare lo ieri (ventennio fascista) e l'oggi (inteso come1974), ovvero la generazione del fascismo e quella del post-fascismo. Il giovane è lo stesso bambino della canzone, che si riferisce a se stesso in terza persona (...il bambino nel cortile sta giocando...).
In apertura udiamo il figlio che parla del sogno del padre (sogno fascista), allora condiviso (mio padre aveva un sogno comune.... condiviso...), con un riferimento alla fisionomia del duce (...la mascella al cortile parlava...). Ma quel sogno è naufragato per l'enorme numero di morti provocato dal regime, che fece capire quale ne fosse la vera natura (...troppi morti lo hanno tradito...).
Segue l'immagine del bambino-figlio, estraneo a quel periodo e lontano da quel sogno, innocente e giocoso (il bambino nel cortile sta giocando, tira sassi...). Nella nostra cultura il bambino è simbolo di innocenza, percezione istintiva, autenticità: ciò può anche significare che l'aspirazione autentica dell'uomo è altra e non coincide con quella tragedia del pensiero e della storia.
Nella terza strofa sembra il padre a prendere la parola, malinconico nel ricordare quel sogno condiviso, tradito, fallito ma non dimenticato. La riscossa della R.S.I. (Repubblica di Salò) è stata una farsa della storia (...i cavalli a Salò sono morti di noia...). Sembra che fosse un destino ineluttabile perdere (...a giocare col nero perdi sempre...). Eppure il dittatore-ideologo era anche poeta, quindi d'animo sensibile verso le cose umane (...Mussolini ha scritto anche poesie...), ma i poeti sono strani (...strane creature...), “giocano” con le parole che, così, non corrispondono più alla realtà (...ogni volta che parlano è una truffa...).
Nella quarta strofa è ancora il giovane a riferirsi al padre: oggi è una persona comune, nulla ne lascia trasparire le vere idee (...mio padre è un ragazzo tranquillo...), un qualsiasi borghese che si interessa alla politica (...la mattina legge molti giornali...). Ma io (suo figlio) sono per lui (come) una “nave pirata”, che assale e depreda quel suo sogno-ideale.
Ancora c'è su un muro la scritta che dice che quella “storia di ieri” è vincente (...dice che il movimento vincerà...). Il capo di quei seguaci si presenta sotto spoglie ordinarie, non trasmette più nessuna preoccupazione (...ha la faccia serena, la cravatta intonata alla camicia...).
Nell'ultima strofa il bambino-figlio sembra realizzare che qualcosa può accadere nuovamente, non riesce più a “giocare” spensierato (...s'è stancato di seguire gli aquiloni...), ha cominciato (forse) a pensare alla situazione presente e ai fatti della storia (...s'è seduto fra i ricordi vicini e i rumori lontani...), guarda il muro (con la scritta) e poi si guarda le mani, per verificare se sono veramente “pulite”, se egli non abbia responsabilità alcuna per il possibile “ritorno” di quelle "storie di ieri“, di quel "sogno" condiviso da suo padre e da quella generazione.
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