Diogene di sinope e la scuola cinica, significato

di Murubutu
Significato della canzone Diogene di sinope e la scuola cinica di Murubutu
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Murubutu afferma che questo testo non ha un vero e proprio significato filosofico, come invece potrebbe sembrare dalle tantissime citazioni che contiene, ma è piuttosto uno scioglilingua: “Divulgo su richiesta. E' un testo scritto nel '97, nonostante il titolo non ha pretese di rigore filosofico perchè non è niente più che uno scioglilingua. E' ispirato ad un altrettanto poco rigoroso saggetto di M. Onfray "Cinismo". A chi cercasse approfondimenti seri sulla figura di Diogene e sulla scuola cinica consiglio "Storia della filosofia greca e romana" di G.Reale”, precisa infatti Murubutu nella sua pagina Fb.
Ma proprio perchè le citazioni sono davvero tante, vorrei cimentarmi in una sorta di legenda al testo, in modo che i vari filosofi menzionati oltre e essere un suono siano anche una chiave di possibile lettura di questo brano decisamente complesso, anche solo alla lettura.. figuriamoci alla comprensione!

Cominciamo dal titolo Diogene di Sinope e la scuola cinica. Diogene (detto il Cinico, cinico: dal gr. cane, perchè si dice che vagabondassero come cani randagi) appartiene alla scuola dei cinici, corrente filosofica dell’antica Grecia che aveva come obiettivo principe l’abbandono di qualsiasi pratica connessa alla civiltà e, d’altro canto, attraverso l’abbandono di qualsiasi desiderio e comodità, aspiravano a un percorso spirituale di vita all’insegna della natura e della virtù. Visse la maggior parte della sua vita a Corinto, dove incontrò Alessandro Magno e dove - come testimoniano sia il Diogene Laerzio, che Plutarco - l’aneddotica intorno alle pratiche di vita scelte da Diogene fioriscono. Per fare un esempio del livello di rinuncia delle comodità cui si sottopose, egli gettò la ciotola di legno da cui beveva e unico suo bene posseduto, quando vide un ragazzo bere dalle mani. Su Diogene e i cinici consiglio di dare un’occhiata a: http://www.mariatasinato.it/?page_id=80 dove c’è un’interessante ricostruzione storica della vita di Diogene e della corrente cinica, tra un lavoro di localizzazione che ci permette di capire che Diogene proveniva dalle coste della Turchia del Nord, essendo dunque molto decentrato rispetto ai fulcri da cui si dipanò la filosofia greca.
Secondo la mitologia greca il padre di Ade (re degli inferi, dei morti e delle ombre) e Zeus fu Crono (il tempo), che divorò i suoi figli (oltre a Ade, Poseidone, Era, Demetra, e Estia. Solo Zeus si salvò grazie alla madre Rea e trasse in salvo pure i fratelli, facendoli rigurgitare da Crono). Crono fu partecipe della Titanomachia, la lotta tra dei (capeggiati da Zeus) e titani (capeggiati dallo stesso Crono).
Tabuiche: con tabù
Cratete è allievo di Diogene e maestro di Zenone, questo filosofo, di cui non ci rimangono grandi (testimonianze scritte se non per mano di retori più tardi, è una sorta di ponte tra cinismo e stoicismo. Di origini benestanti, si dice che rinunciò completamente ai suoi averi per condurre una vita secondo lo stile cinico.
Demonatte è un altro filosofo greco cinico, secondo Luciano di tendenza però più mite rispetto agli altri. Fu comunque chiamato a giudizio, per motivi di carattere religioso, in particolare gli fu obiettato il non aver mai fatto sacrificio agli dei e di non essere stato iniziato ai misteri eleusini (fonte http://www.filosofico.net/demonatte.htm)
Callipigia (Venere Callipigia o Afrodite Callipigia, callipigia dal gr. kalli e pygos, ovvero belle natiche) è una scultura di marmo del I-II sec d. C., conservata a Napoli. La statua rappresenta la Dea nell’intento di sollevare il tipico abito femminile greco (peplo) per osservarsi il sedere.

Leviatano (dall’ebraico avvolto, contorto) secondo la mitologia biblica è un mostro marino, che Hobbes prese a simbolo dello stato nella sua opera omonima (ed. ingl. 1651; ed. lat. rivista 1658). Già presente nella mitologia fenicia, il Leviatano indicava il caos primitivo. Il Leviatano, o Stato, è una sorta di persona civile sopra le parti, che raccoglie le volontà dei singoli individui. Questi, rispetto a uno stato di natura, decidono infatti di cedere una parte della propria volontà (autolimitandosi) affinchè converga la forza in un’unica persona: “quel dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e difesa, che viene garantita dal terrore della sua enorme potenza” (https://universitarianweb.com/2014/07/31/la-trascendenza-del-leviatano-non-est-potestas-super-terram-quae-comparetur-ei/). Questa posizione si pone in antitesi all’iniziale racconto di Diogene e la scuola cinica, i quali avevano come ideale la virtù intesa come autosufficienza, autarchia e ritorno a una condizione naturale.
Giocasta è la madre di Edipo (la sua storia è raccontata nell’Edipo re di Sofocle)

A voler chiudere con una proposta di significato che tenga assieme tutte queste figure della filosofia antica e moderna (e non vede questo testo solo come uno scioglilingua), nel complesso mi sembra che qui si voglia ricordare certe specifiche origini della cultura mediterranea. Quelle secondo cui obiettivo principe era liberarsi da schemi, istituzioni, religioni e strutture (siano esse Stato, Re o Chiesa, per intenderci), così come dalla morale prestabilita (vedi le figure citate di Crono e Giocasta, che diversamente tra loro, forniscono però un modello dove il rapporto figlio/genitore esce dagli schemi), per ricercare la tendenza naturale dell’essere umano alla virtù.

Murubutu mi pare voglia cioè ricordarci che, anzichè appoggiarci a regole dettate sempre da altri e che fanno essere noi umani come burattini, privati della capacità critica e di sperimentazione di cosa e giusto e cosa no, possiamo invece pensare e agire in prima persona, cercando la felicità nel rompere le illusioni che ci circondano, tra cui in primis l'idea stessa di società così come essa ha preso forma (per dirla come un cinico).

Immagine dell'utente ingiz | 317 Punti
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