Nella mia ora di libertà

Video per il significato della canzone Nella mia ora di libertà di Fabrizio De Andrè

Richiesto da Nilo Misuraca

Pubblicato 21 novembre 2015

Ultima interpretazione 11 novembre 2018

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Significato più votato

Per capirne il senso, bisogna considerare che è il brano finale dell'album “Storia di un impiegato” del 1973.
 Un concept che De André non amava affatto, perché oscuro nel linguaggio e troppo politico rispetto alla prospettiva, più intimamente esistenzialista, che lui avrebbe voluto seguire. 
 Vi si narra la vicenda umana di un impiegato, ritroso, individualista e ribelle, durante gli anni delle rivolte studentesche del 1968.
 Una metafora impietosa del rapporto fra dimensione individuale, sistema sociale, senso di giustizia, viltà umana e istinto alla ribellione a ciò che è costituito e in cui non ci si riconosce più. A ciò che non è possibile correggere e di cui non ci si può liberare, perché ogni ordine richiede anche un potere che lo imponga e lo faccia rispettare, ma ogni potere si rigenera e si ripropone, sempre uguale a se stesso, dopo ogni ribellione.
 E' proprio l'impiegato il protagonista della canzone, che parla in prima persona da carcerato. Colui che si è ribellato all'ordine socio-politico, contestando, da idealista ingenuo e sprovveduto, il concetto stesso di potere ed i suoi simboli e valori di riferimento.
 Timoroso e diffidente verso la rivolta studentesca (il maggio francese) decide di adottarla in forma violenta: immagina l'annientamento dei riferimenti culturali più “sacri” (comprese le figure dei genitori) durante un “ballo mascherato”, diviene bombarolo ma fallisce, rivive l'incubo di un “nuovo” potere uguale al precedente (nel quale rivede se stesso come suo padre), finché viene tradito e abbandonato dalla sua compagna. Infine, incarcerato, deve prendere atto che la sua reazione-azione, timorosa e violenta, non ha prodotto nulla di positivo.
 Perciò l'impiegato, ora detenuto, non vuole e non può identificarsi nei suoi secondini: li vede strumenti di ciò che ha determinato il suo fallimento e non vuole condividere con essi neanche l'aria.
 Per lui l'ora d'aria è solo un'illusione di fugace libertà posticcia (è cominciata un'ora prima e un'ora dopo era già finita...), ma ha la conferma che il sistema che ha combattuto è ancora lì, come sempre, a condannare anche gli innocenti (non mi aspettavo un vostro errore...).
 In quella straziante delusione, egli riflette su se stesso, quasi estraneato dalla realtà (...in mezzo al fuori anche fuori di là...). Affronta i dubbi sulla sua dignità di uomo rispetto a ciò che ha fatto (ho chiesto al meglio della mia faccia...di dignità), sulla condizione di detenuto (...vagli a spiegare che è primavera... e poi lo sanno...). Soffre ancora, ricordando la donna che l'ha abbandonato, divenendo (grazie a lui) figura del “circo mediatico” (si sta chiedendo...si suggerisce...da un po' di tempo era un po' cambiato, ma non nel dirmi amore mio).
 Infine capisce il suo errore: la sua violenza è scaturita dalla violenza propria del sistema stesso, più forte, protratta, subdola e metodica (...una ginnastica d'obbedienza...), ma ogni sistema prevede una forma di potere che, in quanto tale, non potrà mai essere buona (...da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni). Lottare per un'altra “nuova forma di potere” non aveva quindi senso, perché “non ci sono poteri buoni”. E' la disillusione definitiva, la presa di coscienza del fallimento suo e di chiunque volesse riprovarci in futuro.
 La penultima strofa descrive un impiegato ormai disincantato ma non rinunciatario, il cui pensiero è ancora alla ricerca di una (im)possibile soluzione (imparo un sacco di cose...tranne qual è il crimine...per non passare da criminali...ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame).
 La canzone chiude con una chiamata in causa dei distratti, degli indifferenti, degli apatici che si ritengono estranei ad ogni responsabilità: “per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti”.

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Canzone politica e quindi meno universale del resto della produzione di André, questo sembrerebbe a primo impatto. Ascoltata ora, marzo-novembre 2018, dà, però, i brividi. Contestualizziamo il necessario, prendiamola come personale epitome post sessantottina, ma caspita. Rileggiamola assieme a Debord e l'ultimo Pasolini e iniziamo a vedere come politica, mercificazione, sfruttamento e repressione indotta stiano trionfando. La frase più importante è -a mio parere- " bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza [...]per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni". Il lessico e la struttura concettuale sembra semplicemente anarchica, ma caliamola all'interno della concezione intima del singolo nella società che emerge in tutto l'album, E' certo una declinazione politica dell'umanesimo di De André: il potere non è solo struttura, ma rapporto. La sua fiducia anarchica nella libertà individuale è l'utopia di una autonoma adesione a una "umana compagnia" priva di qualsiasi volontà di potenza di ciascun singolo. Nella sua ossatura è un alto messaggio umanistico, non strettamente politico, non nell'accezione letterale, come tutta l'opera di De André, che dovremmo custodire gelosamente come lessico individuale e collettivo.

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Qui però il cantante va giù pesante con i secondini, con i quali non vuole condividere neppure l'aria che respira nel cortile, ma soltanto la prigione.
Vero che il cantante ha sempre perdonato, anche i suoi carcerieri dopo il rapimento, tuttavia considerava la libertà il bene più prezioso ed i secondini sono sempre stati l'emblema di coloro che vigilano sulla privazione della libertà altrui.
Tanto per rimanere sul tema del rapimento: il cantante perdonò i rapitori ma disse esplicitamente che non li invidiava considerato che, una volta beccati, sarebbero finiti in carcere.
In quel carcere che appunto è il luogo della canzone, una sorta di inferno in terra.

Nella canzone, inoltre, il cantante spiega come si possa finire in carcere anche senza essere cattive persone, ma semplicemente ribellandosi all'ordine costituito.

Putroppo anche il cantante si trova ad affrontare il paradosso che non esiste un modo legale per ribellarsi.

La frase più bella, a mio avviso è: "vagli a spiegare che è primavera".

Il cantante si scaglia contro coloro che tolgono la libertà ai giovani, come nella canzone Geordie dove stanno per impiccare un ragazzo che non ha neppure vent'anni, chiedendo che lo stesso sia impiccato una volta che sia calato "l'inverno sopra il suo viso".

Il cantante ha molto a cuore la primavera della vita, il mese di aprile o del maggio nelle sue canzoni, ripreso anche nella canzone la Guerra di Piero dove dice che per "crepare di maggio ci vuole tanto troppo coraggio".

Quindi, nonostante tutte le sue canzoni parlino apertamente di perdono, il cantante non perdona a prescindere.
Lui, la privazione della libertà, libertario qual era, soprattutto strappata nella giovinezza, la condanna con forza.

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Canzone che come quasi tutte le canzoni di De Andrè va contro l'ordine costituito. In quel periodo (anni 70) si dava la colpa di tutto alla società. Eri drogato? Colpa della società Eri un ladro? Colpa della società. Va comque dato atto a De Andrè che lui viveva le sue idee in prima persona. A differenza di tanti buonisti odierni che se la prendono con chi teme ladri, zingari erc, però vivono in ville di lusso e se gli rubi uno stuzzicandenti da buonisti comprensivi vorrebbero darti l'ergastolo, De Andrè restò sempre coerente. Quando fu rapito assieme a Dori Ghezzi ebbe parole di comprensione pe i suoi carcerieri.

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Altre canzoni di Fabrizio De Andrè

Testo

Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se c'è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.
È cominciata un'ora prima
e un'ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l'uscita
non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci sono stare.
Fuori dell'aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.
Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio.
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual è il crimine giusto
per non passare da criminali.
Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.
Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
abbiamo deciso di imprigionarli
durante l'ora di libertà
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.

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