Video per il significato della canzone Inverno di Fabrizio De Andrè

Richiesto da Ingiz

Pubblicato 30 giugno 2017

Ultima interpretazione 16 gennaio 2023

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Inverno appartiene all’album Tutti morimmo a stento (inizialmente accompagnato dalla dicitura Volume 2), concept-album tra i primi in Italia, pubblicato nel 1968 e avente come tema la morte fisica e psicologica dell’individuo (sull’album: http://www.ondarock.it/pietremiliari_ita/deandre_tutti.htm).

Diversamente dagli altri brani dell’album, in Inverno De Andrè pare dare altro significato alla morte, non solo intesa come desolazione, luogo senza ritorno. Qui il cantautore ci lascia intravedere della speranza.

Forte infatti è l’attesa di “un’altra estate”: allo scenario cupo e cimiteriale fa da contrappunto una tensione positiva che porta a credere che “la neve morirà domani” e che c’è in serbo ancora un’altra primavera (“l’amore ci passerà ancora vicino, nella stagione del biancospino”).

Un testo consolatorio, dunque, che racconta della ciclicità della vita, ("ma tu che vai, ma tu rimani"), del susseguirsi delle stagioni, della notte che incombe sul giorno e le luci del tramonto e dell’alba che si confondono. In questo chiaro-scuro le ombre emergono, i volti appaiono spettrali e i ricordi, che solo una riflessione melanconica sulla morte può far affiorare, si affacciano come “le gioie passate” che sono inghiottite dallo scorrere del tempo.

Eppure, nonostante i riferimenti all’oltretomba e all’inesorabilità di questo ciclo, si impone un significato ulteriore del testo: questo riposo è solo momentaneo, come gli uomini anche la neve “morirà domani”, lasciando sbocciare una terra pronta alla nuova stagione, cui nuovamente seguirà l’inverno. La nebbia infatti sale, fin dai primi versi della canzone, a mostrare il lento processo di rischiaramento a cui stiamo partecipando.

Ecco che la morte qui per Fabrizio sembra essere non solo una ‘caduta nel nulla’, un angoscioso epilogo, ma piuttosto una sorta di passaggio. Un lasciare spazio ad altro che, sebbene non propriamente religioso, fa filtrare la profonda vicinanza che, coi suoi toni spesso sarcastici, sempre puntuali e pungenti, De Andrè ha spesso mostrato con il mistero e il sacro. É infatti non a caso un campanile a segnare il “confine tra la terra e il cielo”, tra la vita e la morte, come una linea verticale di connessione tra il mondo dei vivi e ciò che oltrepassa la nostra conoscenza, così come sarà sempre sui “camposanti” che ricadrà nuovamente quella coltre nevosa, per poi un giorno tornare a sciogliersi.

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