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Cosa sono le nuvole è stata incisa per la prima volta nel 1967 nell'album Modugno, che conteneva oltre a questo pezzo Sopra i tetti azzurri del mio pazzo amore, presentata a Sanremo lo stesso anno.
Fonte.
Lo stesso Modugno prese parte alla pellicola nei panni di un immondezzaio/Caronte, in procinto di disfarsi dei corpi esanime di un mucchio di marionette (Totò, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Ninetto Davoli, Laura Betti, Adriana Asti) fatte a pezzi dal pubblico dell'Otello di Shakespeare, insorto contro la perfidia di Jago.
Interessante la relazione posta tra la regia di Pasolini e la canzone interpretata da Modugno in questa analisi:
"Alla fine dell’opera l’immondezzaio, novello Caronte, carica i corpi di Otello e Jago, uccisi dal pubblico, sullo sgangherato camioncino per portarli in una discarica, insieme al resto della spazzatura e canta una canzone in cui si evidenzia, ancora nella doppia polarità, un modello di comportamento per l’uomo alla ricerca del senso della sacralità della sua esistenza.
Evidenziamo inoltre un’altra dualità: nel testo della canzone, scritta dallo stesso Pasolini e musicata da Domenico Modugno, possiamo apprezzare lo splendido riferimento all’amore soffiato dal cielo: il vento come simbolo e metafora dell’anima (l’ebraico ruah). Sia il vento che l’anima non si vedono ma si possono vedere i loro frutti, le loro conseguenti azioni.
Il testo della canzone non compare nella sceneggiatura, ma è importante ricordare la penultima strofa per la sua coerenza alla riflessione complessiva.
ruba qualcosa al ladro
ma il derubato che piange
ruba qualcosa a se stesso
perciò io vi dico
finché sorriderò
tu non sarai perduta.
Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali.
Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa.
Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.
(Otello, atto primo, scena III)
Fonte