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Il testo è contenuto nell’album Notti, guai e libertà (1998), considerato il ritorno di Patty Pravo ai capolavori della giovinezza, un carosello di ritratti femminili che contiene tutti bravi firmati dai più importanti autori italiani, da Guccini, a Fossati, dalla Bertè a Ruggeri, fino a canzoni ben più note di Baby Blu al grande pubblico, come Emma Bovary, scritta da Battiato e interpretata dallo stesso sotto il titolo di Emma (1998). Baby Blu, presente anche nel successivo Patty Live 99, del 2001, è stata scritta dai noti Paoluzzi (autore di molti dei testi di Renato Zero), Madonia e Incenzo, paroliere e romanziere italiano che vanta al suo attivo numerosissime collaborazioni (da Zarrillo a Dalla).
Il brano è un ritratto graffiante e sconsolato dove solo la canzone “du du du” che la protagonista canticchia piano lascia filtrare la speranza di un cambio di direzione. Si tratteggia una giovane, giovanissima donna, sedicenne venerdì. Se ne intravedono i sogni infranti, “nessuno è una star”, ingabbiati in uno scenario metropolitano freddo che dal fondo di un metrò, al tassì che si ferma, lascia intendere una giovinezza sgualcita, sofferente, dove il compromesso porta a violare i corpi (“sono lì se tu ci stai”; “lui su te/non sa chi sei/ti compra un peccato”) per ottenere qualcosa che “sembrava un bel film, di quelli che danni brividi”. Sembrava bello eppure finto. Finto, sì, e paradossale come certe pastiglie che ringiovaniscono. Ma Baby Blu, questa piccola signorina tristezza che insieme ai suoi guai getta anche pezzetti di anima, mucchi di emozioni, ha solo quindici anni e la promessa di ringiovanire a quindicianni è potentemente illusoria quanto inutile. E’ secondario se si tratti di una giovane prostituta o meno, più forte in Baby Blu è infatti quel che emerge all’ascolto delle parole: l’immiserimento, lo svilimento cui sono sottoposti sogni e ambizioni, làddove portano alla mercificazione della persona, alla perdita della componente umana, tant’è che Baby Blu non ha qui paura di morire, o di non raggiungere i suoi obiettivi, ma teme di smettere di piangere (“non vuoi non piangere più”), di non provare più un sentimento, di abituarsi a tutto ciò. E in tutto questo la forza della sua età ancora si esprime, al di là dello squallore in cui pare incastrata, come un fiore la cui forza naturale della primavera che sboccia continua a spingere ostinatamente nonostante tutta la neve e il peso dell’inverno - un altro livido - che le cade addosso. Una canzone amara mentre descrive in modo delicato e soffuso quel difficile e disorientante passaggio dall'adolescenza all'età adulta, un passaggio frastagliato e pericoloso, come camminare sul crinale, che mi ha riportato alla memoria alcune atmosfere contenute ne L'Età del malessere (Dacia Maraini, 1963)
Grazie ingiz! spiegazione molto esaustiva! anch'io avevo intuito molte delle tematiche che hai descritto, grazie x la conferma! ;-)