Richiesto da Francesca monti
Pubblicato 27 ottobre 2017
Ultima interpretazione 30 ottobre 2017
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Nel capitolo L'evasione, il viaggio diventa l’entrare dentro se stessi, anzichè fuggire, come il concetto di evasione suggerirebbe. Con questo meraviglioso ossimoro si apre il testo di uno dei brani dell’ultimo album di Caparezza, Prisoner 709. Perchè entrare dentro se stessi e conoscersi è in sintesi l’atto di liberarsi dalla propria stessa prigione.
Già dal titolo che evidenzia un grande contrasto tra l’uscire fuori e raccogliersi dentro, mi sembra che Caparezza voglia sottolineare come lo stato mentale non sia altro che un equilibrio tra due corsie, tra due direzioni (l’andare avanti e il tornare indietro? Potremmo leggere dando all’immagine un significato di tempo lineare).
E infatti fin dalla prima strofa c’è proprio questa fatidica consapevolezza, del non poter tornare indietro, del rendersi conto (forse per la prima volta) che questa autostrada che è la vita ha solo una direzione. Infatti pur trovandosi a cavallo di due carreggiate non c’è il problema di una direzione contraria.
La spazzola oscilla, ecco il primo chiaro segno del procedere dell’ipnosi che segna la separazione tra la prima strofa, dove in fondo Caparezza mi sembra ancora cosciente e l’inizio del viaggio dentro se stesso.
Nelle sedute di ipnosi, training autogeno etc, capita di frequente che, per indurre uno stato di rilassatezza che consente poi di procedere nel viaggio dentro di sè, il conduttore suggerisca di immaginare una strada, un percorso da intraprendere.
La prima immagine che vediamo è una collina piena di cassetti vuoti. I sogni nel cassetto si sono esauriti? Sono stati già tutti esauditi oppure è tanta la delusione, l’apatia esistenziale da non voler più sognare? Rimangono solo degli involucri vuoti come le crisalidi delle farfalle, scheletri di creature che hanno già subito una trasformazione e che lasciano qui solo i segni abbandonati di quel che si è evoluto altrove.
Si supera una prima fase annebbiata, fosca ed ecco apparire i mostri. Ma cosa sono questi mostri? Sono i segni dell’infanzia che albergano ancora vivi e nutriti in questa sezione della mente di Caparezza. Qui la nota critica secondo me va a certi bombardamenti televisivi che i figli nati tra la fine dei ’70 e i primi ’80 hanno subito in massa. Mary Poppins per Caparezza, a me vengono in mente le infinite repliche di Marcellino Pane e Vino o di Shirley Temple.
Anche là dove in apparenza Caparezza crede che ci sia tranquillità (il mare calmo), in realtà secondo questa prospettiva di indagine dell’inconscio, ci sono traumi nascosti, celati, sostituiti da immagini positive e pacifiche votate a tranquillizzare e a consentirgli di vivere una vita tutto sommato accettabile. Un’infanzia costellata di piccoli grandi traumi dunque, dall’ uomo nero (Boogeyman), a Gesù morto (la religione?)
(Boogeyman)
Qui il riferimento ai confratelli non mi è chiaro: Ho traumi sulle spalle, come i confratelli che hanno su le statue soprattutto perchè ho l’impressione che questo verso si richiami a quello successivo che fa riferimento ai monumenti: Sono un gabbiano che ride dopo averla fatta sul mio monumento. Magari sto cercando troppi significati, voi cosa ne pensate?
Questa ricerca nel profondo del proprio inconscio porta allo sgretolamento dell’intera esistenza. Quello che si è creduto essere le proprie direzioni, le proprie convinzioni e punti fermi. Infatti l’autostrada per Caparezza si scuce.
Un’immagine bellissima: me la figuro proprio questa autostrada le cui linee, come imbastiture, iniziano a saltare, stralciando qualsiasi tracciato certo e ridisegnando completamente lo scenario. Giunti a questo livello del viaggio non esistono più strutture precostituite.
La lingua diviene il linguaggio stesso dell’inconscio.
Non più le sintassi e le parole apprese a scuola, ma pure e libere associazioni di idee irriducibili al solo piano razionale della comunicazione. Immagini appunto. E la difficoltà comunicativa di chi è abituato a esprimersi solo attraverso la mediazione razionale è a questo punto immensa. Il viaggio si fa lento, ferraginoso, la sensazione è di sentirsi scossi, sepolti. La tentazione più forte è di scappare, fare dietro front e invertire la marcia.
Arrendersi di fronte a questo stuolo di fantasmi, di sensazioni sgradevoli, di sovvertimenti di senso cui si è ora preda.
Il proprio stesso inconscio, ci dice Caparezza in chiusura, diventa come qualcun altro al di fuori di noi stessi che ci insegue, che ci vuole. Bella questa metafora, perchè in qualche modo è proprio quello che accade: i pezzi di noi che non abbiamo avuto la forza, il coraggio o il tempo di guardare sono quelle stesse immagini che continuano a tornare in superficie inseguendoci.
Caparezza sembra alla fine scegliere di proseguire il viaggio, accelerare e procedere in questa ricerca tra fantasmi, dolori, aspetti inspiegabili e sogni infranti, per liberarsi dalla sua stessa prigione.
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Caparezza compie un viaggio nel suo inconscio ma “la mia macchina è un cursore sulla lampo di una linea tratteggiata” (si riferisce a stare in mezzo a due carreggiate?) e tutto il resto?
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