La guerra di piero

Video per il significato della canzone La guerra di piero di Fabrizio De Andrè

Richiesto da Sergio F.

Pubblicato 28 novembre 2015

Ultima interpretazione 06 febbraio 2022

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Significato più votato

Canzone di un' espressività unica, pura poesia musicata. Dovrebbe essere fatta studiare in tutte le scuole. Esprime a pieno il significato della guerra in relazione con i giovani. Questi ultimi hanno paura di ciò che affrontano e pur essendo che potrebbero essere compagni o fratelli si vedono costretti ad uccidersi vicendevolmente. Piero è un ragazzo che lotta per la pace, per la serenità, per non dover uccidere mai nessuno. Tale ultima affermazione gli costerà la vita. Il significato della morte nel mese di maggio esprime a fondo il concetto che la crudeltà della guerra colpisce anche nei momenti di maggiore felicità, quando meno te lo aspetti. Mi risulta adesso molto difficile il solo tentativo di provare a commentare il testo, in sé è infatti una composizione che non ha bisogno di commenti aggiuntivi. Lascio dunque a voi l' incanto delle parole di De Andrè già sufficienti a lasciare a bocca aperta.

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La “Guerra di Piero” si compone di quattordici quartine di endecasillabi a rima baciata o incrociata, con la prima e l'ultima strofa ripetute. Il racconto è a due voci: il narratore e il protagonista principale Piero. 
Il testo, scritto da Fabrizio De André e arrangiato da Vittorio Centanaro, si richiamerebbe a due poesie: “Le dormeur du val” di Charles Baudelaire e “Dove vola l'avvoltoio” di Italo Calvino. La lirica di Baudelaire fu musicata da Léo Ferré nel 1955 e quella di Calvino da Sergio Liberovici nel 1958. 
De André, che aveva trattato della guerra anche con “La ballata dell'eroe”, disse di avere tratto ispirazione dai racconti di Francesco Amerio, suo zio materno, che aveva partecipato alla seconda guerra mondiale ed era stato recluso in un campo di concentramento, patendo le conseguenze di quella drammatica esperienza per tutta la vita. 
“La guerra di Piero” fu pubblicata la prima volta nel 1964, su un singolo quarantacinque giri insieme a “La ballata dell'eroe” (quest'ultima già edita nel 1961). La seconda edizione apparve nella prima raccolta di canzoni del 1966: “Tutto Fabrizio De André”. La colonna sonora originaria vedeva Centanaro e De André alla chitarra e Werther Pierazzuoli al basso. 
Il brano è di grande efficacia comunicativa grazie a due modalità narrative adottate nella scrittura del testo. 
In primo luogo l'intera canzone (a parte due strofe) è alla seconda persona singolare. L'uso del tu fa sì che mentre “parla a Piero” De André parli anche a ognuno degli ascoltatori che si trova difronte, rendendo ciascuno di essi il protagonista della storia. 
Inoltre, il racconto è svolto alternando diversi tempi verbali: presente, imperfetto e passato remoto. La variazione dei tempi movimenta il racconto sincronico conferendo alla canzone una modalità in cui diverse scene si alternano nello spazio e nel tempo, come in un film che scorre davanti agli occhi degli ascoltatori. 
Un'altra notazione da fare è relativa ai personaggi che De André inserisce nel brano, perché da un primo ascolto è facile scorgere solo la figura principale di Piero. In realtà ce n'è una seconda che “regge” quella principale: il soldato con la “divisa di un altro colore”. 
Quest'ultimo è speculare al primo (...aveva il tuo stesso, identico umore, ma la divisa...), un Piero gemello che conferisce alla canzone il significato (e il messaggio) a cui De André pensava: la condizione umana dei soldati è sempre la stessa, indipendentemente dalla divisa che portano o della nazione cui appartengono. 
La prima strofa è anche l'epilogo (...dormi sepolto...). L'autore usa elementi del paesaggio per simboleggiare il contrasto tra la morte di Piero e la vita che continua: il grano che rimanda al raccolto e al pane, i papaveri rossi che sono fiori di campo, spontanei ma rossi come il sangue versato. 
L'assenza di altri fiori più “sofisticati” (...non è la rosa, non è il tulipano..), invece, indica la condizione di “milite ignoto” di Piero, che non ha una vera tomba ma giace, anonimo e dimenticato, immerso nella natura che prosegue il suo corso. 
Nella seconda quartina è Piero che parla (...lungo le sponde del mio torrente voglio...i lucci argentati, non più i cadaveri...). Quindi un “anti-eroe”, che coglie nella dimensione naturale il senso e l'etica della vita. 
Emblematico il contrasto fra i lucci e “...i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente...” Nel fiume che scorre come il tempo della propria esistenza, ci si aspetta di trovare lucci argentati e non morti ammazzati. 
Ma la canzone ci racconta di un uomo che mentre pensa a ciò se ne va “...verso l'inferno...” (la guerra) “...triste come chi deve...”, in uno scenario freddo e fosco (...era d'inverno...il vento ti sputa in faccia la neve...). Ciò sta a significare che Piero non voleva andare in guerra ma è stato obbligato, come chi non sente giusta una certa cosa ma, ciò nonostante, la deve fare. 
E' già presente quella visione che pervaderà la tematica di De André, per cui l'individuo non può mai essere se stesso, perché condizionato da tante e diverse manifestazioni di potere che gli impongono “scelte obbligate” alle quali egli non può sottrarsi. 
Ma altri prima di Piero hanno vissuto quella stessa situazione, insita nel destino e nella storia degli uomini e potrebbero, metaforicamente, avvertirlo (…..lascia che il vento ti passi un po' addosso, dei morti in battaglia ti porti la voce...) che in fondo è inutile, perché “...chi diede la vita ebbe in cambio una croce...” 
Il soldato, quindi, è solo strumento di un sistema (di potere) più grande di lui, che viene usato per gli scopi e la preservazione del sistema stesso e il solo beneficio che può ottenere da una guerra è una croce. 
Ma Piero (come altri prima e dopo di lui) non sente la “voce dei morti in battaglia”, in quanto le vicende della storia non insegnano all'uomo come evitare gli stessi errori. 
Piero giunge a varcare la frontiera ed entra in territorio nemico in primavera, quando la natura sboccia in vita nuova e mille colori. 
Inoltre, nella poetica di De André le stagioni simboleggiano anche i diversi momenti dell'esistenza umana, per cui il riferimento alla primavera potrebbe anche significare l'età giovane, radiosa e piena di speranze di Piero. 
E' a questo punto che si verifica l'ineluttabile dramma di ogni guerra: “...vedesti un uomo in fondo alla valle...”. Piero si trova ad affrontare un soldato che, in quanto umano (...aveva il tuo stesso identico umore...) è un altro se stesso. L'unica differenza è che ha “...la divisa di un altro colore...”, cioè di un altro potere. 
Nella settima strofa potrebbe essere il narratore ad incitare idealmente Piero all'azione (...sparagli Piero, sparagli ora...fino a che tu no lo vedrai esangue...), ma è anche verosimile che sia lo stesso Piero a ripensare a quanto gli è stato inculcato: uccidi sempre il nemico! 
Piero esita, perché non vorrebbe fare soffrire l'altro se stesso in fondo alla valle (...e se gli sparo.. soltanto il tempo avrà per morire...), ma sa che il confronto con un morte provocata (e col dramma della guerra) è inevitabile (...ma il tempo a me resterà per vedere, vedere gli occhi di un uomo che muore...). 
Questa esitazione ad uccidere senza pietà sarà fatale, perché l'altro soldato veduto Piero (...l'altro si volta e ti vede, ha paura...), si spaventa e gli spara (...ed imbracciata l'artiglieria non ti ricambia la cortesia...). 
Quando Piero cade realizza la fine della sua esistenza (...ti accorgesti...che la tua vita finiva quel giorno...) 
Non potrà più pentirsi di nulla (...il tempo non ti sarebbe bastato a chieder perdono per ogni peccato...), né realizzare il sogno d'amore di chi è in vita (...Ninetta mia crepare di Maggio...Ninetta bella dritto all'inferno avrei preferito andarci in inverno). 
Ancora una volta richiamando le stagioni De André simbolizza un'esistenza spezzata nel pieno della sua rigogliosità (a maggio), quando sarebbe naturale andarsene nell'inverno dell'esistenza, in età avanzata. 
Questa è la storia e il destino imposto a tutti coloro che sono comandati ad uccidersi a vicenda, non perché diversi gli uni dagli altri, ma perché tenuti ad indossare divise differenti e a combattere per interessi contrastanti che spesso neanche li riguardano. 
L'ultima quartina è l'epilogo già prologo: Piero è e rimarrà sempre un ignoto, come se non fosse mai esistito, sepolto in un campo di grano senza né rose né tulipani ad ornare quella sepoltura posticcia. 
Sopra di lui il grano produce cibo e vita e i papaveri rossi segnano il corso della natura, di colore rosso come il suo sangue. 


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Bellissima canzone che mostra l'assurdità della guerra dove devi uccidere uno che neppure conosci e non ti ha fatto niente "che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore" e dove se esiti anche solo un attimo a farlo questa esitazione può esserti fatale.

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non lo soma so solo che fa schifo

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fa cagare

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Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi
lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente
così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve
fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce
ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera
e mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore
sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue
e se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore
e mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia
cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato
cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno
Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno
e mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

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secondo me è una canzone su cui bisogna riflettere e pensare all'accaduto.
e poi non scrivere cavolate come quelle che ho letto su nei commenti

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